CAPITOLO II
Storia del "pubblico macello" di Padova progettato dall'ing. Peretti (1905/1909)
2.1 La storia dell'area dell'ex macello.
2.1 La storia dell'area dell'ex macello
Come risulta dalla cartografia dell'epoca, la nostra area era posizionata all'esterno della cerchia difensiva medioevale, predisposta da Francesco I da Carrara nel 1376, la quale passava lungo la riva sinistra del canale di San Massimo. Le mura Carraresi, adatte per la difesa dalle armi usate all'epoca, come lance, balestre, archi, catapulte, cedettero nel 1509 all'assalto dei cannoni e in mano alla Serenissima, furono parzialmente demolite e ricostruite nello stesso luogo o poco distante, secondo le nuove concezioni, contraffortate all'interno dal terrapieno.
Demolite furono anche, nella zona di Ognissanti, quelle strutture murarie e difensive raffigurate nella pianta del Maggi.
Solo in seguito agli avvenimenti successivi alla Lega di Cambrai (1509) l'importanza strategica della città portò ad un adeguato rinforzo delle vecchie mura Carraresi e alla realizzazione dei nuovi bastioni Buovo, verso Ognissanti e Portello, verso l'omonima zona. I vari interventi succedutisi nel 1500 a seguito di questa iniziativa furono effettuati per inglobare l'attuale area dell'ex-macello e altre zone entro le nuove mura , con lo scopo di ottenere delle aree prive di costruzioni, all'interno e all'esterno del perimetro difensivo (la cosiddetta "spianata" o "guasto"). Sempre a scopo difensivo venne predisposta una pianata di "albare" (pioppi).
Questo struttura si mantenne in linea di massima anche nei secoli successivi, come si può vedere nelle varie piante della città, in cui sono ben evidenti sia la "spianata" che l'alberatura lungo il lato interno delle mura.
Il terreno su cui sorge ora l'ex-macello, come altri appartenenti alla "spianata", fu, probabilmente, per tempi molto lunghi, adibito a pascolo e a coltivazione, come si evince dalla pianta del Valle (1784); infatti dalla decodificazione della simbologia utilizzata dal Valle si ritiene che i filari alberati indichino la coltivazione promiscua, detta "piantata veneta", dove alla vite su sostegno vivo venivano inframmezzate le colture di cereali.
Nella pianta del Valle e in alcune altre a questa precedenti, si ha testimonianza della presenza, nella zona compresa tra le mura e il canale di S. Massimo, di una strada e di due costruzioni. Si tratta di un percorso che univa a scopo militare il sistema difensivo del Torrione Buovo, attraverso il ponte delle Gradelle, col baluardo Cornaro e con Porta Liviana, ora Pontecorvo, e di cui resta ancora oggi traccia all'interno dell'ex-macello, nell'asse che collega le due entrate. Le due costruzioni segnate nella pianta erano destinate a case coloniche.
Si può inoltre constatare nei vari catasti e nei mappali riportanti le caratteristiche dei terreni che la realtà dell'area è rimasta invariata anche nel 1800, con la presenza di una zona demaniale adibita a pascolo, compresa tra le mura e la strada di S. Massimo, e di due appezzamenti, che secondo i documenti austriaci, risultavano di proprietà di Alessandro Knyps Macoppe, segretario municipale di Padova e il cui impiego, secondo la classificazione del tempo, era di "aratorio vitato" e "prato arborato vitato".
2.2 Lo sviluppo dei sistemi di macellazione a Padova
Parlare dei sistemi di macellazione che si sono succeduti a Padova significa parlare di varie generazioni di macelli.
Tutta l'attività commerciale della città antica si è sempre svolta nel cuore della stessa, cioè nelle piazze, ed è qui che si svolgevano anche le attività di macellazione.
La prima struttura in senso moderno è la "beccaria grande", edificata nel 1398 da Francesco Novello da Carrara lungo il fiume Bacchiglione dal quale ricavava l'acqua necessaria al suo funzionamento. Tale struttura si mantenne nel corso delle dominazioni veneziana, francese ed austriaca. In un disegno di Alvise Giacconi
è possibile vedere come era organizzata l'area: un cortile, a cui si accedeva dall'attuale via C. Battisti, allora via delle Beccherie, con un edificio estremamente semplice; all'interno, al piano terra, avveniva la macellazione, mentre al piano superiore vi era il magazzino. Altri piccoli locali annessi erano adibiti ad uffici: l'ufficio bollatura e daziario.
Successivamente la nuova cultura urbanistica francese venne a regolamentare e riorganizzare le funzioni della città con un preciso quadro legislativo normativo che andava a toccare non solo i macelli ma anche strutture come i cimiteri, i tribunali e le carceri.
Per quanto riguarda i macelli, l'attività viene concentrata in un unico luogo.
Primo macello ad essere inteso in questo senso è l'attuale Scuola "P. Selvatico" (prima metà dell'ottocento), ubicato in un posto nuovo, ove l'acqua era abbondante, in un'area all'epoca non urbanizzata, ma vicino alla città, a ridosso delle mura .
Progettista dell'intervento fu lo Jappelli, il quale, però, non riteneva igienico far passare per le vie d'acqua cittadine i residui delle macellazione, laddove si collocavano le attività dei mulini.
Il macello fu quindi dislocato nell'area delle mura cinquecentesche e del terrapieno sfruttando il tracciato triangolare della cortina con il conseguente abbattimento della cinta e il livellamento del lotto, entrambi di demanio pubblico.
L'organizzazione del complesso è definita in un disegno ottocentesco: si rilevano tre cortili, uno centrale rotondo, dove avveniva la macellazione, e due laterali rettangolari. Gli uffici erano situati sul fronte.
Un macello intermedio tra quello dello Jappelli e quello "nuovo" del Peretti è l'edificio costruito oltre il Piovego alle spalle di quello dello Jappelli, sorto nella seconda metà dell'ottocento (1870). La ragione dell'ubicazione al di fuori delle mura cinquecentesche è da ricercarsi nella probabile imposizione da parte della legge di effettuare la macellazione dei suini fuori della città.
2.3 Il problema della localizzazione del "macello pubblico"
La localizzazione del nuovo insediamento, oltre alla pronta disponibilità dell'area, scarsamente urbanizzata e facilmente acquisibile in quel periodo dall'Amministrazione Comunale, si ritiene possa essere messa in relazione con la favorevole situazione idraulica del luogo, essendo il ponte delle Gradelle il punto di uscita delle acque urbane più a valle della città.
Il progetto prevedeva anche la costruzione di un serbatoio per l'acqua con capienza di 300 mc., situato in quota sul bastione Buovo, per consentire forti "cacciate" d'acqua verso le canalizzazioni di scarico per gli usi del macello.
In realtà questa scelta non rispondeva a tutti i criteri di tecnica urbanistica dell'epoca, che prevedevano la posizione del manufatto in periferia e a valle del centro abitato, in prossimità della strada pubblica, della ferrovia e del mercato del bestiame, con la presenza di aree limitrofe per eventuali ampliamenti.
La collocazione del nuovo macello deriva anche dal fatto che il Comune alla fine dello scorso secolo aveva acquisito le mura con le aree adiacenti per ubicarvi i servizi pubblici. Se si analizza la situazione generale urbana ci si accorge in effetti che acquedotti, scuole, caselli daziari, servizi comunali, gravitano all'interno e all'esterno delle mura.
Agli inizi del secolo, inoltre, l'intero settore est viene particolarmente interessato dalle trasformazioni che hanno portato alla creazione della zona universitaria, del pubblico passaggio in via Loredan, con l'abbattimento delle mura.
Quest'ultima operazione fu possibile principalmente per il fatto che il canale era molto largo e, quindi, poteva costituire ancora una barriera per impedire l'accesso in città: bisogna ricordare infatti che le mura costituivano ancora la cinta daziaria della città.
2.4 Il progetto del Peretti e il suo riferimento tipologico
Nel 1904, in un periodo particolarmente prolifico per le grandi iniziative urbane promosse dall'amministrazione comunale, venne redatto il progetto per un nuovo macello dall'architetto Alessandro Peretti, ingegnere capo dell'ufficio dei Lavori Pubblici.
Le dimensioni del complesso progettato facevano riferimento agli 80000 abitanti del comune e alla necessità di sostituire il macello, progettato da Giuseppe Jappelli divenuto rapidamente insufficiente per le nuove esigenze della città.
Per garantire "la salubrità della zona" il Genio Civile impose una sopraelevazione di m. 1,5 dell'area tramite interramento; un sistema di trasporto a carrello su rotaie consentiva di recuperare la terra per la sopraelevazione dai terrapieni delle mura della zona Pontecorvo .
Il complesso del macello, che occupa una superficie di circa 17.000 mq., è compreso tra il canale di S. Massimo a nord, la cinta muraria ad est e sud e via Alvise Cornaro ad ovest.
I lavori furono appaltati da una impresa fiorentina, Enrico Levi & C., e posti in esecuzione dal 1906 al 1907 con costi complessivi ammontanti a £. 430.000.
L'ingresso al macello era garantito da un'entrata principale in via Cornaro, servito dal ponte sul canale di S. Massimo e dal ponte Cornaro, appositamente costruito attraverso una breccia creata nelle mura cinquecentesche; un'uscita secondaria era invece situata sul ponte delle Gradelle.
L'ingresso principale costituito da un portico a colonne, era destinato alla prima visita e alla pesa
degli animali; a destra del porticato erano ubicati gli uffici e l'abitazione del direttore, a sinistra l'abitazione del custode e i locali per le guardie daziarie. Sul lato sinistro di questo edificio un'apposita area era destinata alla costruzione di celle frigorifere, avvenuta in un secondo tempo, tra il 1908 e il 1910, e dotata di macchinari per la produzione di ghiaccio, utilizzato per le attività di macellazione e venduto anche in tutta la città. Solo più tardi venne deciso di effettuare nello stesso edificio anche le analisi del pesce destinato al commercio.
All'interno del complesso, sulla destra, una grande sala, riservata alla macellazione dei bovini, era dotata di "paranchi differenziali fissati a carrelli trasportatori" per il sollevamento delle carni; essa veniva illuminata da finestroni e da un lucernario che correva per tutta la lunghezza della copertura; la disposizione planimetrica adottata, consentiva anche l'organizzazione a celle. La sezione, così come ci appare dal progetto del 1905, mostra che l'edificio era previsto inizialmente più basso, con copertura piana in cemento; in corso d'opera venne poi modificato.
Alla sua sinistra vi è un edificio a forma di T, in cui erano concentrate le attività che richiedevano acqua calda: nel ramo ovest le docce, lo spogliatoio, la mensa per il personale e i locali di lavorazione delle carni panicate; le tettoie per la sosta dei suini e i locali per la loro macellazione nel ramo nord; mentre nell'ala est la tripperia con le vasche e i banchi di lavorazione.
A nord-est di questo edificio fu realizzata una concimaia per lo stallatico, mentre nell'estremità sud-est, nei pressi della tripperia, vi è una piccola costruzione, usata per le latrine. Vi sono poi tre edifici allineati: quello più a nord era la stalla di sosta per suini e lanuti; quello centrale per i bovini, mentre quello più a sud per la macellazione degli ovini, che venne trasformato in cella frigorifera nel 1962.
Lungo le mura, sul lato sud-est, lo svuotatoio dei ventricoli e un fabbricato a L per la lavorazione del sangue, del sego e delle pelli.
In posizione appartata, ma vicino al ponte delle Gradelle, è posizionato l'edificio per gli animali infetti, dotato di stalla di osservazione e contenente un macchinario, il "digestore Rastelli", in cui venivano bollite e macinate le carni infette per recuperare grasso destinato ad uso industriale.
Un piccolo edificio isolato, destinato a pesa e gabinetti pubblici, nei pressi della tripperia, completa il complesso.
I mattatoi, nel senso moderno del termine, si possono far risalire ai primi del secolo scorso, anche se sin dal 1567 in Francia si ha notizia dei primi editti che prescrivevano la creazione di abbattatoi fuori delle città ed in prossimità di una via d'acqua per l'eliminazione delle acque di rifiuto.
Questi complessi funzionalmente rappresentavano il concentramento, in un unico organismo costruttivo, delle numerosissime macellerie individuali, che nelle epoche precedenti esistevano disseminate nelle città e nei loro dintorni.
In questo organismo ciascun macellaio trovava un locale assolutamente simile a quello del suo negozio e indipendente dagli altri. Il nucleo di mattazione era quindi formato da tante piccole stanze, in ognuna delle quali ciascun macellaio eseguiva il suo lavoro. Questo sistema di macellazione fu denominato cellulare.
Dove però i mattatoi raggiunsero un elevato grado di grandiosità, unito ad una osservanza accurata di tutte le esigenze igieniche, fu in Germania. Da un primo esempio di sistema di mattatoio cellulare, di tipo francese, nei successivi mattatoi venne usato il più igienico sistema di macellazione in comune, che prese il nome di sistema tedesco. Si ebbe così prevalentemente in vista l'esigenza igienica della continua sorveglianza delle operazioni di macellazione, e quindi della necessità di riunire in un'unica sala, sia pure molto grande, i posti di macellazione in completa visione da ogni parte e con rotazione di detti posti tra i vari macellai.
Celebri esempi di questo nuovo tipo costruttivo furono: il Mercato del bestiame e macello di Monaco (1878), il Mercato e ammazzatoio di Hannover (1881), il Foro boario e macello di Colonia (1895).
Quello però che, secondo Daniele Donghi, raggruppava in se tutti i più perfezionati accorgimenti
dei mattatoi germanici è stato il macello di Offenbach (1904),studiato con piano sviluppabile cosicchè, eseguendovi gli opportuni ampliamenti, potesse servire fino a 200.000 abitanti. Al suo interno è stato installato per la prima volta un sistema di trasporto meccanico degli animali squartati che consisteva in monorotaie aeree, le quali, dai vari posti di macellazione, si raccordavano con semplici dispositivi di scambio a guidovie longitudinali correnti lungo la corsia centrale, in modo che dai vari posti di macellazione potevano essere traslocati direttamente nelle celle frigorifere o nelle sale di vendita.
La disposizione generale di questo macello è veramente di notevole importanza: in essa si trova già esemplare riscontro il criterio fondamentale, che si stabilirà in seguito definitivamente, che dopo l'arrivo degli animali presso l'ingresso del macello, tutte le successive operazioni si debbano svolgere, per ogni specie di animale, secondo percorsi lineari senza incroci, promiscuità o eccessivi contro ritorni e sempre nello stesso senso.
Il progetto dell'impianto del macello del Peretti si ispirava proprio al "sistema tedesco" del macello di Offenbach (1904), sia per l'impostazione planimetrica (un'asse principale con distribuzione a destra e a sinistra dei corpi di fabbrica) sia per il fatto che anche qui vennero utilizzate per la prima volta le monorotaie aeree per il trasporto degli animali squartati dalle sale di macellazione alle celle frigorifere.
2.5 L'area dopo il 1970: la cessazione dell'attività del macello e il suo degrado
L'attività di macellazione, inaugurata il 7 settembre 1908, proseguì fino ai primi anni '70, quando si assistette al suo definitivo trasferimento nel nuovo impianto di Corso Australia, avvenuto nel '75. E' di questi anni (autunno '72) il recupero, ad opera del Club Sommozzatori Padova, di tre antiche piroghe dal Bacchiglione. La notevole lunghezza di una di esse, su indicazione di alcuni naturalisti interessati al salvataggio dell'area del macello, portò ad un loro ricovero in vasche provvisorie collocate nella stalla dei lanuti, ormai in disuso; ciò offrì l'occasione ad alcuni protezionisti impegnati nell'operazione, di venire a contatto e di scoprire il grande parco che circonda gli edifici e che, per l'abbandono, stava ritornando allo "stato naturale". (IL GAZZETTINO, 17/11/72).
Nella primavera dell'anno seguente il WWF riuscì a farsi ospitare nei locali superiori della stalla degli ovini e diede inizio, in collaborazione con alcuni professori universitari di Padova e con altre associazioni naturalistiche e culturali, ad una campagna di sensibilizzazione con proposte di destinazione a Parco Didattico dell'area verde.
Il proliferare delle attività attorno a questa iniziativa e la necessità di collegarle e coordinarle, determinò la costituzione nel settembre del '73 di un comitato promotore per la fondazione di una associazione di associazioni denominata Comunità per le Libere Attività Culturali (CLAC), che si proponeva l'unione delle associazioni culturali, nonchè il recupero e l'utilizzo dello spazio e dei fabbricati dell'ex-macello.
Nel luglio del 1974, 14 associazioni culturali presentarono una prima richiesta ufficiale di uso dei locali al fine di salvaguardare il valore documentazione storica, di utilizzare per scopi culturali gli spazi disponibili e di determinare la destinazione d'uso a realtà culturale del parco e dei fabbricati (IL GAZZETTINO, 3/8/74).
Nel 1975, 25 associazioni culturali con 6000 soci si consorziarono come CLAC (IL RESTO DEL CARLINO, 13/6/75), ma alla fine dello stesso anno le condizioni igieniche in cui si svolgevano le ultime attività di macellazione ivi persistenti, determinarono l'intervento della Magistratura, con la conseguente chiusura totale dell'impianto e l'esclusione successiva del WWF dalla sua ormai tradizionale sede (IL GAZZETTINO,24/12/75).
Ma la battaglia della CLAC continuò con una serie di comunicati stampa e di proposte ufficiali alle autorità competenti, di piani dettagliati di recupero e destinazione delle strutture dell'ex-macello, che indussero la Giunta Comunale a proporre un concorso di idee "per il recupero e la ristrutturazione dell'area ex-macello affinchè venga destinata ad attività culturali e per l'esercizio delle funzioni svolte dalle varie associazioni culturali democratiche operanti nelle città, prevedendo la salvaguardia delle alberature esistenti". (COMUNICATO STAMPA DEL COMUNE, 18/6/77).
Nonostante ciò poco dopo si dovette assistere, ad opera dello stesso Comune, alla distruzione del locale per la lavorazione delle trippe per adibirlo a deposito degli automezzi delle pompe funebri (IL GAZZETTINO, 9/8/77); parte dello stesso edificio, più precisamente l'ala nord, a causa dell'incuria e delle gallerie scavate nel suo sottosuolo dai ratti richiamati dall'attività di macellazione, crollò (IL GAZZETTINO, 8/9/77).
Nello stesso anno comunque si assistette anche alla prima assegnazione ufficiale di uno degli edifici limitrofi all'area a scopi culturali; l'edificio del 700 situato sopra il ponte delle Gradelle, ospitò la sede dell'Associazione Comitato Mura di Padova, che era rappresentato dalla CLAC (IL GAZZETTINO,12/8/77), la quale potè così continuare la sua attività di salvaguardia della stessa area.
La sensibilizzazione dell'opinione pubblica, spinse, l'anno seguente (il '78), le autorità a prendere posizione sulla destinazione dell'ex-macello; nell'area venne limitato l'accesso al pubblico per la pericolosità degli edifici e degli alberi e venne approvato un progetto del Consiglio di Quartiere n.1 "Centro Storico", di sistemazione degli alberi che potevano in qualche modo danneggiare gli edifici (IL GAZZETTINO, 9/4/78).
Nel 1980 si assistette all'ingresso ufficiale della C.L.A.C. "con lettera di incarico" del Sindaco Merlin, nei locali dell'attuale sede.
Gli anni successivi videro fiorire svariate attività della C.L.A.C., nonostante i ripetuti rischi di sfratto, nell'ottica di adibire la zona a sede per il maxi processo ad Autonomia ('81), ad abitazioni per i clinici, a parcheggio e a "ripostiglio comunale" (IL MATTINO DI PADOVA, 28/5/81, 14/9/83).
Nel 1984 il Comune, in collaborazione con la CLAC, portò a termine il restauro della sala di macellazione bovini, oggi denominata "cattedrale", per adibirla a sala mostre.
Nel 1986 l'intera area venne inclusa negli elenchi previsti dall'art. 2 della legge 29/6/39 n.1497 che la dichiarava vincolata in quanto zona di notevole interesse pubblico.
La zona si arricchì negli anni seguenti di strutture quali un planetario (1982), la camera iperbarica (1983), un telescopio (1986). Vennero inoltre ristrutturate le coperture di alcuni edifici, come l'edificio per la lavorazione delle carni vicino al ponte delle Gradelle.
L'operazione di recupero degli edifici ricevette impulso grazie soprattutto all'accordo tra CLAC, Comune e Istituto Edile Professionale di Camin (Padova), che utilizzandolo come "palestra" per l'addestramento dei propri giovani avviò progressivamente, al solo costo del materiale, il recupero dell'ex sala macellazione ovini e iniziò il recupero del cosiddetto corpo a T (IL MATTINO DI PADOVA, 15/4/88).